venerdì 15 luglio 2022

Thor Love & Thunder? "sotto il vestito niente"... di così stupido come credevate! vi spiego perché


 



Si dice che “la bellezza stia negli occhi di chi guarda” e così non stupisce che “Thor Love & Thunder” (titolo che prende più significato poco prima dei titoli di coda) stia incontrando non poca resistenza negli spettatori, o meglio negli occhi, di quegli spettatori che forse perché troppo giovani non colgono i molti sottotesti presenti in una pellicola che, sotto una chiassosa e voluta caciara fatta di colori e battutine, ha voluto per assurdo dare più spessore al Dio del Tuono rendendolo Sì meno eroico ma forse più simile all’uomo comune che deve, volente o nolente, affrontare tutti i giorni  le battaglie del suo quotidiano.

Senza volerla mettere giù troppo dura, ma semplicemente ricordandoci che chi ha diretto questo film ( il regista Taika Wattiti) ha già dimostrato in precedenza di saper veicolare importanti tematiche in modo tanto diretto quanto non convenzionale (un esempio su tutti il commuovente Jo Jo Rabbit), pare evidente che il lavoro intrapreso con questo 4° film dedicato a Thor aveva come mission quella di spostarsi dal canonico cinecomic mettendo con nonchalance sul piatto tematiche toste come il “Big C” o la delicata quanto controversa questione della non interferenza da parte degli Dei nelle vite umane. Un tema spinosissimo la "Fede” che, anche se sapientemente nascosto in bella vista dietro lustrini e paillettes di divinità antiche e mitologiche fa immedesimare il pubblico più attento, NoN con Figlio di Odino ma più logicamente in Christian Bale e Nathalie Portman che, seppur investiti di poteri eccezionali, rappresentano in questo film due facce della stessa medaglia, ovvero quell’essere umano così fragile e pieno di speranza che nelle situazioni più disperate cerca aiuto inviando preghiere e sperando che, come cosmici messaggi in bottiglia vengano captati da qualcuno in grado di aiutarlo.


Così mentre veniamo costantemente e volutamente distratti ed alleggeriti dai siparietti di gelosia, del triangolo “amoroso“ tra Mjolnir, Stormbreaker e Thor, una piccola parte del nostro cervello in background continua a lavorare facendoci empatizzare con Gorr, il macellatore di Dei, che con le sue azioni rappresenta un po’ tutti noi e tutte quelle volte che abbiamo “chiesto aiuto” senza ricevere apparentemente risposta dovendo imparare nostro malgrado a convivere con i ciò che stava accadendo.


Film Marvel non canonico “Thor Love & Thunder” richiede probabilmente occhi “più maturi e stanchi” per essere apprezzato a pieno. Come infatti il protagonista Asgardiano, smette i panni dell’eroe rockettaro dedito ad agire senza pensare troppo alle conseguenze delle sue spettacolari e devastanti azioni, anche il pubblico troppo vicino a questa immagine goliardica ed apparentemente invincibile del Dio del Tuono fatica a metabolizzare il complesso percorso di crescita e cambiamento che il personaggio affronta nell'arco della pellicola, dopo la rocambolesca battaglia di apertura Thor deve infatti affrontare PRIMA la perdita dell’amore dal punto di vista relazionale per poi doversi confrontare con la perdita fisica della persona amata uscendone NON distrutto ma maturato e fortificato, pronto a donare quello stesso amore, in una nuova e più costruttiva forma, al "nuovo che avanza".



Thor Love & Thunder" è un film complesso "camuffato da vaccata" se preferite, una storia dal sapore Rock anni 90 che trasforma l’egoismo e l’egocentrismo del vanesio protagonista Asgardiano in qualcosa di più alto e nobile, così Thor si evolve (anche se in un modo tutto suo) passando dall’essere lo Zio simpatico che, non avendo tutte le risposte la butta in caciara, al ben più impegnativo ruolo di Genitore Single che, pur continuando a non avere quelle risposte adesso, le DEVE trovare per forza.


Con questo film Disney Marvel, in controtendenza rispetto ad altri astiosi studi cinematografici come Warner Brothers, sembra non voler rinunciare allo zoccolo duro del pubblico delle prime 3 fasi (ormai invecchiato e con figli)

scontentando così parzialmente la generazione entrante di spettatori (più simili al Thor delle prime scene), lo studio sperimenta in questo modo, su di un personaggio commercialmente marginale (Thor da sempre non è il primo albo che si prende entrando in fumetteria), una chiave di lettura per così dire nuova in questo tipo di film. Così dopo aver con fatica lasciato gli anni 80 dove il buono vinceva sempre o c’era una salvifica cura pronta a salvare tutti all’ultimo minuto, abituatici nei 90 al fatto che a volte le cose non andavano come si voleva (Seven è forse l'esempio più rappresentativo di quello che dico), adesso anche il tanto odiato Cinecomic (come già fatto  ormai da anni dal suo progenitore cartaceo) ha deciso di “spruzzare” in questi universi del fantastico un po’ di scomoda realtà! Gocce infinitesimali chiaramente coperte da strati e strati di effetti e battutine ma cmq segnali che anche questo genere, in modo lento subliminale, può tentare di approcciare tematiche serie facendo passare il messaggio che a volte anche l’eroe più potente contro certe cose non può far nulla se non canalizzare la sua forza ed il suo Amore in qualcosa di nuovo e bellissimo.







lunedì 7 ottobre 2019



Saranno state al massimo 3 righe, quelle “accennate” in un’intervista a Vanity Fair da Luca Barbareschi (produttore) in merito a Thanks for Vaselina, ma tante ne sono bastate a metterci LA PULCE NELL’ORECCHIO e a farci pensare che, se il pluripremiato spettacolo teatrale approdava al cinema forse valeva la pena rivederlo in questa sua nuova veste.

Ed infatti l’esordio dietro al macchia da presa di Gabriele Di Luca (già ideatore della piece teatrale nonché interprete sul palco) fa ben sperare. Pur essendo infatti datato 2013 , il testo non sembra risentire del passare del tempo riuscendo ad affrontare con freschezza, disincanto e “super-filosofie”, tematiche contemporanee, scomode e complesse che, grazie ad un cast prestato quasi interamente dal teatro al grande schermo, riescono ad essere portate all’attenzione del grande pubblico in una chiave narrativa che alterna una serrata crudezza esistenziale (fatta di degrado urbano ed umano) ad una volontà naif di affrontare i torti e le storture della vita con uno humor che più che al nero sembra tendere al grigio.

Ad impreziosire il testo di Di Luca e le performaces del cast c’è poi uno strabiliante Luca Zingaretti che regala al pubblico un personaggio così intenso e sfaccettato da rendere difficile capire se sia più semplice amarlo o odiarlo (forse uno dei complimenti più belli che si possano fare ad un attore)

Laddove Thanks for vaselina forzava, grazie ad ottimi interpreti e una buona narrazione, i limiti fisici stressi del palcoscenico teatrale, ecco che il mezzo cinematografico, fatto di set, lunghezze focali e movimenti di macchina, da a questi artisti una nuova freccia la loro arco, non solo espandendo il loro universo, trasformando la semplice narrazione in nuovi ambienti, interpreti e comprimari solo abbozzati verbalmente nello spettacolo originale, ma anche arricchendo quegli stessi personaggi di sfumature bellissime, una su tutte l’agoraphobia di Fil (Antonio Folletto) che lo rende virtualmente un galeotto nella sua stessa casa dove, la chiave per evadere non sta nè nell’amore per Isabelle e nemmeno nel coronamento del “sogno imprenditoriale” condiviso con Charlie ma bensì nella capacità di reagire alle storture di una famiglia disfunzionale che, tra vizio e gioco d’azzardo compulsivo lo ha reso incapace di vivere nel mondo esterno.

Già noto al pubblico di sala per i dialoghi taglienti al limite del crudele, questa trasposizione filmica si arricchisce di alcuni personaggi così grotteschi (la prozia e “George” ne sono un ottimo esempio) così caricaturali e a tratti divertenti da sembrare una naturale quanto inespressa parte dello spettacolo originale quasi, come dicevamo, se la scena non potesse ospitare tutto il mondo dietro a questa storia.

Qualche giorno fa Luca Zingaretti ironizzava facendo Hype dai Instagram sul fatto che, un film così “scomodo”, doveva essere visto prima di sparire dalla circolazione quindi, seppur certi che nessuno degli elementi coinvolti in questa produzione sia destinato a sparire tanto facilmente, vi consigliamo di vedere al più presto sia lo spettacolo che la pellicola per capire come a volte “il salto” da un media ad un altro possa essere un’occasione per arricchire un prodotto che forse, grazie alla celluloide (si fa per dire) ha raggiunto ora il suo massimo potenziale narrativo.

venerdì 4 ottobre 2019

Non tutte le ciambelle riescono con il BUCO... nemmeno a Hollywood negli anni 60

 "Intrappolati alla poltrona" è proprio il caso di dirlo. Alla disperata ricerca di un guizzo... una scintilla che ci faccia esaltare per l'ultima fatica di Tarantino... ma niente, nel corso delle 2 ore e 40 di film nulla riesce a catturare la nostra attenzione, nemmeno la curatissima ricostruzione storica o i tecnicismi ed i movimenti di camera che, per quanto belli, incontrano probabilmente il gusto solo di chi, più che spettatore è come noi addetto ai lavori. Tre attori persi su binari narrativi incompleti più che morti...un ottimo DiCaprio che da attore interpreta un attore che interpreta dei ruoli sfumando il suo personaggio con piccole balbuzie ed insicurezze talmente credibili sullo schermo da farci dimenticare che Lui è la star ambientalista della nostra realtà e non il povero Rick Dalton. Brad Pitt? come sempre un bel colpo d'occhio che come il vino invecchiando migliora...alla "vista" ma interpretativamente stereotipa il suo personaggio rendendolo troppo simile a qualcosa di già visto in passato un "Tyler Durden pase". E Margot Robbie? sarebbe facile "graziarla" da un impietoso giudizio, riportando alla mente la carrellata sul suo corpo avvolto nelle lenzuola bianche, ma questo "dovrebbe essere un film" fatto di ruoli e recitazione e quindi, a meno che voi non siate dei feticisti dei piedi, il lavoro introspettivo della bella Australiana per interpretare la Tate risulta quasi inesistente. Certo sul finale qualche spettatore ha forzatamente riso a battute deboli e ad un repentina impennata di violenza quasi a sottolineare che" Quentin c'era riuscito anche questa volta" ma la realtà che "C'era una Volta ad Hollywood" è un film vuoto senza capo ne coda il cui miglior effetto sul pubblico è quello di farlo affezionare ancora di più ai vecchi successi del Regista di Knoxville che forse dovrebbe davvero ritirarsi dalle scene. 

CONCLUDENDO, Se pensate che Tarantino non abbia MAI sbagliato un colpo in vita sua allora rimarrete soddisfatti (come sempre), ma se come noi siete certi che anche nella sua filmografia ci sia qualche neo allora TENETE I SOLDI PER QUALCOSA DI BELLO (noi vi abbiamo avvertiti) perché questa pellicola vi farà di certo rimpiangere i fasti di altri cult di genere sperimentati in passato con successo dal regista rivelazione degli anni 90

domenica 20 agosto 2017

La chiamerei...constatazione della realtà

Solo per futura memoria riportiamo qui di seguito un paio di commenti abbastanza realistici di chi ha visto Monolith, perché come scritto in precedenza, una volta messo in programmazione su Sky il film di VISON diventerà un casehistory Italiano di "ottimo cinema tricolore", fortunatamente, escluso chi premia a prescindere certi prodotti di casa nostra alcuni utenti hanno segnalato in modo sintetico ed implacabile ciò che questa prima produzione SBE è in realtà.





lunedì 10 luglio 2017

"Mah...nolith"


Cominciamo con dei doverosi ringraziamenti al Fondo Sclavi ed al suo Staff per averci regalato una piccola grande anteprima, perchè nonostante l’irrilevante peso topografico di Venegono Superiore sulle carte il festival dedicato all’horror è riuscito a distinguersi anche questa volta.


Purtroppo però, per ragioni del tutto indipendenti dal Festival, pur essendoci recati all’anteprima di Monolith con la volontà di gioire di questa neo produzione Bonelliana dal respiro Americano ci troviamo costretti a fare ciò che normalmente vediamo fare dagli “influencer” a pellicole Main Stream di alto profilo.


A questo punto...chi di dovere ci avrà già bollati con l’infamante marchio del “TROLL” ma fortunatamente per noi la pochezza di quanto apparso sullo schermo questa sera sarà sufficiente a far capire a voi lettori quanto dietro a questo scritto non ci sia nulla più che l’analisi di quanto realmente visto.




LA GENESI di un' A.I
Cominciamo col dire che “la Monolith”  è la tipica Escalede da Gangsta: nera, massiccia praticamente un carro armato urbano (in realtà è una Ford Explorer di 5° generazione...secondo loro) che per l’occasione, nel maldestro tentativo di renderla un po’ più avveniristica, è stata “patch-ata” con poco credibili coperture nere che più che al futuro fanno pensare ai prototipi camuffati per non far trapelare la forma ufficiale dei nuovi veicoli.


Tralasciando quindi la “prostetica” alquanto povera del “mezzo del domani” ciò che salta subito all’occhio sono le incongruenze tecniche della “fortezza” su quattro ruote, un veicolo che prima viene osannato per le sue avanzate qualità tecniche ma poi, nel corso del film (per tenere in piedi la storia ovviamente), si dimostra un mezzo dalla dubbia affidabilità non per la sua “intelligenza” superiore (cosa su cui puntavamo) ma bensì per la sua capacità di imitare in tutto e per tutto un fermacarte.


Lilith infatti, che è l’intelligenza artificiale montata di serie sui modelli Monolith, nei primi minuti del film calcola il peso degli occupanti del veicolo, interagisce vocalmente con il guidatore in stile Michael Knight e millanta, almeno a parole, di possedere il pilota automatico (non lo vedremo mai in azione nel film). Certo già a questo punto notiamo le prime stranezze...se il guidatore può interagire con Lilith vocalmente PERCHE’ per fare le pericolosissime video chiamate da cruscotto l’utente DEVE scorrere il touch screen per scegliere un contatto dalla rubrica e chiamarlo? Da prima abbiamo pensato ad una voluta necessità scenica ma poi, mentre i minuti passavano senza dare un senso a questa inutile azione abbiamo capito che i costruttori della Monolith avevano speso tutto in blindature proprio per permettere ai guidatori di fare ogni sorta di incidente mentre si distraggono dalla guida per fare una video chiamata, un "ammanco economico" che ha impedito agli stessi di spiegare anche a Lilith che la gente in macchina...a volte... fuma :-)


A questo punto della pellicola i “dadi” stanno ancora ruzzolando sul panno verde e “potenzialmente” ci potrebbero essere svolte interessanti...certo “POTREBBERO ESSERCI”, perchè in realtà da questo momento in poi la presunta fantascienza che ci era stata promessa diventa un susseguirsi di goffi utilizzi e madornali errori di valutazione di appannaggio esclusivamente umano che ci portano a guardare impotenti per 84 minuti Katrina Bowden scagliarsi contro una silenziosa ed inamovibile macchina adamantina che, esposta al cocente sole del deserto dello Utha rischia di trasformarsi per il suo giovane occupante (il piccolo David) in un vero e proprio forno.


Se infatti Monolith fosse una pubblicità  progresso o un cortometraggio per sensibilizzare i genitori sul NON DARE MAI gli smartphone ai bambini o sul CONTROLLARE sempre di non lasciare i pargoli sul sedile posteriore in balia degli elementi allora, in quel caso, Monolith sarebbe un prodotto perfetto. Tuttavia visti i numerosi fatti di cronaca con questa specifica impronta, sollecitare nello spettatore la claustrofobica ansia del non poter salvare un bambino intrappolato non ha a che fare, né con la sceneggiatura né con la qualità recitativa degli attori (tutti un po’ lame come si dice in gergo).


Efficace su tutti, e ancor di più su chi è genitore, Monolith tocca senza sforzo le sensibili corde di quelle inconfessabili ipotesi che, anche leggendo i fatti di cronaca, ci fanno letteralmente gelare il sangue nelle vene bisbigliando mentalmente…”e se succedesse a me?”.


Ma come ho detto questo non un corto e nemmeno uno spot, questo “dovrebbe” essere un film che anche se con un budget limitato avrebbe potuto e dovuto puntare un po’ più in alto. Anche se ammorbiditi dal Direttore di Film TVha insistito per far nostare la diversità tra pellicola e fumetto, pur avendo sottolineato quanto il prodotto fosse di qualità in relazione al limitato budget investito, il prodotto targato Sky e SBE si dimostra più un “colossal” da piccolo schermo che un blockbuster da botteghino.


Oltre ad un plot deboluccio, a peggiorare lo stato dell’arte, arriva in ultima battuta (verso la fine del film fatto di immobilità)  una pessima computer grafica, che nella sua "bruttura" ci mostra la Monolith intraprendere una SCALATA (si ho scritto proprio scalata) in modalità 4x4 con anche slalom di rocce e finale "BreakOut " di due massi che dividono auto e protagonisti dalla salvezza... (tipo il turbo booster di supercar ma meno figo).


Alla faccia delle trame secondarie, restano poi in sospeso le sorti dei “fattoni” del Drug store (e della festa dell’ airport one)...spunto interessante ma abbandonato lì nel nulla... chi sia la reale amante del marito di Sandra che, nonostante un’insinuante commento lanciato in una delle molte video chiamate del film, resterà a questo punto un vero e proprio mistero, e ultimo ma non per questo meno importante, perché non ci fossero i soldi per pagare i diritti a WB per l’utilizzo di 5 secondi di Willye il coyote (ndr i più attenti tra voi sanno di che parlo visto che a conti fatti é LUI a risolvere il problema di SANDRA).

In conclusione pur vedendo profilarsi all’orizzonte uno Tzunami di autocompiaciuti post in Facebook su come si sia fatto un GRAN FILM, accompagnati da altrettanti articoli delle più disparate riviste settoriali (vero quattroruote?) che per piaggeria, e anche un po’ per cavalcare l’onda, fanno quadrato intorno a questa pellicola trovando il modo di fare la loro brava marchetta al film in uscita il 13 Agosto, non possiamo far altro che sconsigliarvi di spendere i soldi del biglietto (ammesso che troviate una sala in cui vederlo) per attendere la ovvia messa in onda sui canali Sky, che in quanto parzialmente responsabili del prodotto siamo certi non mancheranno di supportare la programmazione dello stesso con speciali, approfondimenti ed interviste sceneggiatori, soggettisti e disegnatori coinvolti in questo... è il caso di dirlo MONOLITICO PROGETTO!





venerdì 19 maggio 2017

Voglio ma NoN Posso (the Varese way of life)


Sapete, si spera sempre di poter assistere ad un cambiamento. Qualcosa di così eclatante nella sua semplicità da lasciare un segno tangibile del suo passaggio, una sorta di "solco metaforico" che incanali da quel momento in avanti lo spirito di una manifestazione e degli artisti che ne costituiscono il DNA stesso.

Dico "si spera" perché come sempre da qualche ora l'atteso "cambiamento" è stato funestato da una "goffa" locandina che, ancora una volta, pone la nostra Provincia nella fastidiosa posizione di eterni "voglio ma non posso". Si potrebbe pensare di essere entrati nella delicata sfera del gusto personale anche se la locandina di cui parliamo (eccezion fatta per gli entusiastici commenti di qualche aficionados), è "OGGETTIVAMENTE DEBOLE" e sembra più uno svogliato abbozzo di uno studente che una reale illustrazione promozionale per una "CON" di livello.


Pur plaudendo quindi lo sforzo della locale fumetteria/associazione di voler fare qualcosa per la propria città non capiamo perché a questo nobile slancio non segua MAI un reale scouting di talenti o perché no "l'ingaggio" di qualche art di valore, qualcuno che con pochi VALIDI TRATTI riesca a catturare l'attenzione del pubblico che magari, "infatuandosi" di una bella locandina, potrebbe dire: "hey perché no, andiamo a visitare questa Varese e la sua neo-fiera del fumetto".

In anni di passione e professione ho visto altre manifestazioni nascere e crescere timidamente edizione dopo edizione diventando punti di riferimento, o se volete "solchi", a cui rifarsi per iniziare la propria personale tradizione, ma quando nella nostra Provincia si da il via a qualcosa, la troppa fretta... o Dio no voglia la troppa faciloneria, ci portano a vedere confezionati eventi che, o spariscono senza lasciar traccia di se o si trascinano senza una reale crescita artistica per due o tre anni, sostentati dall'incrollabile volontà di chi aveva dato il via la tutto.

Quando si tenta di creare un evento sarebbe meglio partire dal piccolo... per lasciarsi il tempo di crescere maturando e arricchendo la nostra manifestazione con i contatti che collezioneremo durante il nostro cammino...una "grande manifestazione" non è fatta di grandi nomi o metri quadrati, una GRANDE manifestazione è fatta di cura per il dettaglio e qualità, fattori percepibili da chiunque si avventuri sul territorio, elementi capaci di fidelizzare e far TORNARE il pubblico anno dopo anno rendendo un evento semplicemente imperdibile.

Sia chiaro sono certo che come sempre (a dispetto dell'evidenza dei fatti) l'orgoglio "bianco rosso" terrà in piedi tutto il "carrozzone" guadagnandosi anche i soliti auto-compiaciuti articoli di rito ma, se come noi siete soliti andare oltre il casello dei Gallarate allora non potrete non vedere come la mancanza di progettualità e la troppa indulgenza nell'offerta saranno per l'ennesima volta l'invalicabile scoglio per creare una manifestazione duratura nel tempo un richiamo capace di creare quel famoso incoming che questa Provincia cerca sempre così disperatamente ma che sempre più difficilmente riesce ad ottenere.

martedì 28 aprile 2015

Sapete da Sabato 27 settembre se ne sono dette molte di cose sul nuovo Dylan Dog targato Recchioni… in realtà se ne sono “lette” molte di più pure prima di questa fatidica data ma facciamo finta, solo per questa volta, che l’uscita del n° 337 sia il punto zero ideale per fare un discorso a bocce ferme Ok? Oltraggiati “custodi della vecchia guardia” di casa Bonelli sbattendo dietro di loro una porta che forse non verrà mai più riaperta, altri, seppur intenzionati a metterlo in libreria per dover di continuità numerica animati dal proposito di non aprirlo mai (come fosse un moderno vaso di Pandora), hanno infine ceduto alla pressione dell’hype generato nei mesi passati aprendolo, sfogliandolo e perfino leggendolo per poi decretare che temevano di peggio. Insomma se vi prendete la briga di girare sul web potete trovare di certo una scuola di pensiero vicina al vostro cuore e al modo in cui eravate soliti intendere ed interpretare Dylan Dog. Questa dicotomica divisione di opinione e la doverosa lettura dell’albo in questione mi hanno però portato ad un’analisi introspettiva che ha completamente scosso le fondamenta della mia realtà di lettore facendomi porre una domanda ed un’altrettanto scontata risposta: “E’ Dylan Dog che si deve svecchiare o sono io che SONO troppo vecchio per questo fumetto???”


Superfluo dire che il mio “tredicenne interiore “ che sta ancora seduto sul balcone di casa a leggere “i Conigli Rosa uccidono” attendendo l’uscita dell’agenda scolastica dell’indagatore dell’incubo si dimena ancora nel mio petto cercando di impedirmi di scrivere questa recensione che, purtroppo per lui, a più a che fare con la crescita e all’affinarsi del gusto personale che al gratuito attacco e alla non plausibile incompetenza di uno sceneggiatore scelto proprio per la sua capacità di incarnare i desideri di lettori come il sottoscritto.

Puntare il dito contro Roberto Recchioni sa più dello “scatto d’ira” del nostro eterno Peter Pan che, tradito dal tempo che scorre e vedendo le prime zampe di gallina profilarsi intorno agli occhi, decide che se crescere è inaccettabile … ancora più inaccettabile e vedere un’icona del suo passato (quello senza le tasse, i datori di lavoro incompetenti le ,responsabilità) evolversi , mutare ed uscire da quella tranquilla rassicurante routine capace di farlo perdere, anche se per poco, in un tempo in cui le cose forse andavano davvero meglio.

hanno salutato con sdegno il coraggioso tentativo


Lo confesso anni fa anche io ho perso Dylan… scoraggiato dalla banalità delle sue storie e infastidito da un design che lo aveva reso deforme ai miei occhi l’ho abbandonato, ma come per quegli amici che non si vedono da parecchio tempo e con cui si beve sempre volentieri qualcosa per ricordare i bei tempi andati, così anche con Dylan non sono MAI mancato alle sue tappe importanti: dal breve e straziante matrimonio con Lillie Connolly, alla celebrativa “boutade” dei primi Color Fest passando per i notturni sceneggiati radiofonici di Radio 2 ai videogame arcade dalla difficile soluzione, ho sempre gettato lo sguardo a quell’old Boy” presentatomi un giorno da un vicino di casa più grande. (Grazie Giuseppe)

Ho seguito la nascita della “fase due” ed ho con pazienza atteso l’ora zero, il rilancio, il giro di boa … ed oggi sfogliate le ultime 9 pagine del tanto atteso albo non mi sento di condannare ne lodare troppo il primo step del nuovo corso… dinamico certo, secco e senza troppi fronzoli nei dialoghi come piace a Roberto perché no… forse un po’ troppo sbrigativo in chiusura si quello forse Sì … ma in definitiva forse il problema rimango io, in questa formula per l’adattamento ai nostri tempi di un personaggio vecchio stampo intrappolato nei suoi troppi cliché, pur apprezzando la scelta di tagliare con il passato ripartendo dallo spazio profondo, disseminando l’albo di quegli stessi rimandi e citazioni che resero accattivante e celebre Jonh Doe, non posso che riassumere il mio giudizio su questo “primo albo” con l’onomatopeica “E a sforzo” di Marta Olivia Zoboli che di certo non si può considerare un pollice verso ma altresì ci lascia in trepidante attesa di quelle Buone storie di cui abbiamo sentito parlare durante la conferenza stampa.

Interno giorno Bar

-Hey Enrico allora, come è il nuovo Dylan?!”

-“Eeeeeee...”

Thor Love & Thunder? "sotto il vestito niente"... di così stupido come credevate! vi spiego perché

  Si dice che “ la bellezza stia negli occhi di chi guarda ” e così non stupisce che “ Thor Love & Thunder ” (titolo che prende più sign...